martedì 20 gennaio 2009
sabato 10 gennaio 2009
Immigrazione: viaggio tra speranza, intolleranza e convenienza.
Quanta ignoranza!!!
Informazioni di un occidente ricco hanno innescato sempre, da che mondo e mondo, un moto apparentemente inarrestabile di immigrazione. Sono migliaia, milioni le persone che cercano una vita migliore lasciando le proprie terre segnate da guerre civili, povertà, fame, abbandono. Specialmente i giovani, i quali hanno gli occhi più attenti ai media, sono attratti dal luccichio di un paese migliore, percepiscono un tenore di vita diverso, una società apparentemente pronta l'accoglienza ed in grado di soddisfare almeno i bisogni “familiari”. Ma non sempre è così. Il benessere tanto desiderato per se stessi e per i propri cari, spesse volte è un miraggio, che come tutti noi sappiamo è un fenomeno ottico che non corrisponde a verità. Malgrado ciò, è un miraggio per cui vale la pena rischiare la vita, per tendere, se non altro, ad un’esistenza dignitosa, migliore sicuramente di quella di partenza.
L’atto migratorio in se, sottintende quindi aspettative molto forti che giustificano il tragico abbandono della propria terra; l’esodo appare quasi una scelta priva di alternative. Di contro il paese ospitante si trova di fronte ad un problema di assimilazione, ma ha anche a disposizione molta più forza lavoro.
Secondo una stima fatta dalla Caritas italiana e dalla Fondazione Migrantes nel dossier annuale sull’immigrazione, sono circa 4 milioni gli immigrati regolari nel nostro paese, con una incidenza del 6,7% sul totale della popolazione. Il centro nord registra i due terzi dell’immigrazione nazionale, mentre solo un terzo il Mezzogiorno. I dati confermano per l’ennesima volta una minor pressione al Sud causa minor sbocco lavorativo. Nell'ultimo anno gli stranieri sono aumentati di circa mezzo milione, e la comunità straniera più grande è quella romena con un milione di presenze stimate. L’Italia è seconda solo agli Stati Uniti per immigrazione (12 milioni di stranieri), immigrazione che esattamente è stata vista raddoppiare ogni 10 anni dal ’70 al 2000.
La gestione di una buona politica migratoria è un compito piuttosto arduo per il governo italiano, la forza lavoro senza diritti conviene moltissimo agli imprenditori che ovviamente non vogliono rinunciare ad una massa operaia a basso costo. Quando si discute su una problematica come quella dell’immigrazione, invece di trovare compromessi, molto spesso si sfocia nell’intolleranza e nel razzismo, mentre la maggioranza istituzionale dà il benvenuto agli immigrati, i quali contribuiscono al nostro prodotto interno lordo per il 9%, tre punti in più rispetto all'incidenza sulla popolazione; non si capisce che senza i cittadini stranieri l’Italia non starebbe in piedi!
E’ ovvio che gli immigrati hanno un costo in termini di servizi e assistenza: i comuni italiani spendono per loro all’incirca il 2,4% della propria spesa sociale e tenendo in considerazione assegnazioni ed altre spese di carattere generale, si può stimare che attualmente si possa arrivare a una spesa sociale di un miliardo di euro, ampiamente coperta dai 3,7 miliardi di euro che assicurano come gettito fiscale.
Sono convinto che una futura organizzazione e gestione migratoria competente possa assicurare al nostro paese una marcia in più, a quel punto non esisterà più un miraggio di benessere, ma un benessere reale.
Informazioni di un occidente ricco hanno innescato sempre, da che mondo e mondo, un moto apparentemente inarrestabile di immigrazione. Sono migliaia, milioni le persone che cercano una vita migliore lasciando le proprie terre segnate da guerre civili, povertà, fame, abbandono. Specialmente i giovani, i quali hanno gli occhi più attenti ai media, sono attratti dal luccichio di un paese migliore, percepiscono un tenore di vita diverso, una società apparentemente pronta l'accoglienza ed in grado di soddisfare almeno i bisogni “familiari”. Ma non sempre è così. Il benessere tanto desiderato per se stessi e per i propri cari, spesse volte è un miraggio, che come tutti noi sappiamo è un fenomeno ottico che non corrisponde a verità. Malgrado ciò, è un miraggio per cui vale la pena rischiare la vita, per tendere, se non altro, ad un’esistenza dignitosa, migliore sicuramente di quella di partenza.
L’atto migratorio in se, sottintende quindi aspettative molto forti che giustificano il tragico abbandono della propria terra; l’esodo appare quasi una scelta priva di alternative. Di contro il paese ospitante si trova di fronte ad un problema di assimilazione, ma ha anche a disposizione molta più forza lavoro.
Secondo una stima fatta dalla Caritas italiana e dalla Fondazione Migrantes nel dossier annuale sull’immigrazione, sono circa 4 milioni gli immigrati regolari nel nostro paese, con una incidenza del 6,7% sul totale della popolazione. Il centro nord registra i due terzi dell’immigrazione nazionale, mentre solo un terzo il Mezzogiorno. I dati confermano per l’ennesima volta una minor pressione al Sud causa minor sbocco lavorativo. Nell'ultimo anno gli stranieri sono aumentati di circa mezzo milione, e la comunità straniera più grande è quella romena con un milione di presenze stimate. L’Italia è seconda solo agli Stati Uniti per immigrazione (12 milioni di stranieri), immigrazione che esattamente è stata vista raddoppiare ogni 10 anni dal ’70 al 2000.
La gestione di una buona politica migratoria è un compito piuttosto arduo per il governo italiano, la forza lavoro senza diritti conviene moltissimo agli imprenditori che ovviamente non vogliono rinunciare ad una massa operaia a basso costo. Quando si discute su una problematica come quella dell’immigrazione, invece di trovare compromessi, molto spesso si sfocia nell’intolleranza e nel razzismo, mentre la maggioranza istituzionale dà il benvenuto agli immigrati, i quali contribuiscono al nostro prodotto interno lordo per il 9%, tre punti in più rispetto all'incidenza sulla popolazione; non si capisce che senza i cittadini stranieri l’Italia non starebbe in piedi!
E’ ovvio che gli immigrati hanno un costo in termini di servizi e assistenza: i comuni italiani spendono per loro all’incirca il 2,4% della propria spesa sociale e tenendo in considerazione assegnazioni ed altre spese di carattere generale, si può stimare che attualmente si possa arrivare a una spesa sociale di un miliardo di euro, ampiamente coperta dai 3,7 miliardi di euro che assicurano come gettito fiscale.
Sono convinto che una futura organizzazione e gestione migratoria competente possa assicurare al nostro paese una marcia in più, a quel punto non esisterà più un miraggio di benessere, ma un benessere reale.
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Si parte per un miraggio di benessere.
venerdì 12 dicembre 2008
martedì 9 dicembre 2008
Cina a rischio recessione?
Decoupling o effetto farfalla?
Per più di 2000 anni l'economia della Cina si è basata su un metodo feudale, un élite di proprietari terrieri e su tutti dominava l'imperatore. Tutto ciò ha alternato periodi di elevata prosperità economica, a periodi di decadenza economica, per poi ritornare ad alti livelli.
Dopo la guerra dell'oppio, penetrò nel paese un'economia di tipo occidentale, tale connotazione portò allo sviluppo di porti, alla costruzione di ferrovie che garantirono la possibilità di scambiare merci con maggiore celerità. Tutt'oggi, l'economia cinese gioca un ruolo fondamentale nel mercato mondiale essendo divenuta una realtà sempre più competitiva. A partire dalla politica economica introdotta da Deng Xiaoping alla fine degli anni ‘70, l'economia cinese è sembrata svilupparsi con enorme velocità davanti agli occhi di tutti. Il mondo si è perfino allarmato davanti alla crescita della Cina, addirittura si prevedeva una marcia inarrestabile fino al 2020.
Tuttavia la Banca Mondiale ha corretto al ribasso le sue previsioni sulla crescita dell'economia di questo paese che nel 2009 sarà del 7,5% invece del 9,2% previsto. La causa del rallentamento del dragone cinese sarà senz'altro la diminuzione delle esportazioni nei mercati sviluppati, in primis quello americano. Pechino promuove già misure d'emergenza stanziando investimenti pubblici per quasi 600 miliardi di dollari. La recessione economica negli Stati Uniti, la stagnazione europea e l'assottigliarsi dell'economia giapponese, sono dei segni inequivocabili di una recessione economica globale. Molti sono i sostenitori del fatto che la Cina, essendo integrata nell'economia mondiale, debba per forza di cose essere risucchiata nel vortice di questa depressione economica, altri invece parlano di decoupling (sdoppiamento). Gli Stati Uniti non sono l'unico motore immobile dell'economia mondiale, le relazioni tra stati si moltiplicano e quindi la crisi di un solo paese può essere attutita altrove attraverso dei rapporti di mercato estranei alla crisi stessa; l'export può essere indirizzato verso altri lidi. Questo è il decoupling. In sostanza è una formula che va in antitesi con l'effetto farfalla di Edward Lorenz: “Può il batter d'ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?”
Un mercato parallelo è possibile, e gioverebbe anche molto all'Europa, tuttavia fin quando l'economia mondiale sarà scritta in dollari non si può pensare che l'andamento del mercato americano non abbia ripercussioni sul resto del mondo.
Forse sarebbe più corretto dire: "Il batter d'ali di una farfalla a New York può far crollare la borsa a Pechino?” .
Dopo la guerra dell'oppio, penetrò nel paese un'economia di tipo occidentale, tale connotazione portò allo sviluppo di porti, alla costruzione di ferrovie che garantirono la possibilità di scambiare merci con maggiore celerità. Tutt'oggi, l'economia cinese gioca un ruolo fondamentale nel mercato mondiale essendo divenuta una realtà sempre più competitiva. A partire dalla politica economica introdotta da Deng Xiaoping alla fine degli anni ‘70, l'economia cinese è sembrata svilupparsi con enorme velocità davanti agli occhi di tutti. Il mondo si è perfino allarmato davanti alla crescita della Cina, addirittura si prevedeva una marcia inarrestabile fino al 2020.
Tuttavia la Banca Mondiale ha corretto al ribasso le sue previsioni sulla crescita dell'economia di questo paese che nel 2009 sarà del 7,5% invece del 9,2% previsto. La causa del rallentamento del dragone cinese sarà senz'altro la diminuzione delle esportazioni nei mercati sviluppati, in primis quello americano. Pechino promuove già misure d'emergenza stanziando investimenti pubblici per quasi 600 miliardi di dollari. La recessione economica negli Stati Uniti, la stagnazione europea e l'assottigliarsi dell'economia giapponese, sono dei segni inequivocabili di una recessione economica globale. Molti sono i sostenitori del fatto che la Cina, essendo integrata nell'economia mondiale, debba per forza di cose essere risucchiata nel vortice di questa depressione economica, altri invece parlano di decoupling (sdoppiamento). Gli Stati Uniti non sono l'unico motore immobile dell'economia mondiale, le relazioni tra stati si moltiplicano e quindi la crisi di un solo paese può essere attutita altrove attraverso dei rapporti di mercato estranei alla crisi stessa; l'export può essere indirizzato verso altri lidi. Questo è il decoupling. In sostanza è una formula che va in antitesi con l'effetto farfalla di Edward Lorenz: “Può il batter d'ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?”
Un mercato parallelo è possibile, e gioverebbe anche molto all'Europa, tuttavia fin quando l'economia mondiale sarà scritta in dollari non si può pensare che l'andamento del mercato americano non abbia ripercussioni sul resto del mondo.
Forse sarebbe più corretto dire: "Il batter d'ali di una farfalla a New York può far crollare la borsa a Pechino?” .
martedì 2 dicembre 2008
Crisi finanziaria, un passo indietro.
Scoppia la bolla immobiliare e scoppiano i mercati.
Abrogare l'ICI e detassare gli straordinari. Questa era la soluzione in voga fino a pochi mesi fa per rimettere in cammino la crescita economica del nostro paese.
Al momento attuale invece, ci si appella allo Stato per poter aiutare le banche in crisi di liquidità.
La crisi finanziaria è ormai a livello internazionale. Per scoprirne la causa è necessario fare un salto indietro di circa 8 anni, facendo attenzione a quello che succedeva al mercato immobiliare americano.
Al momento attuale invece, ci si appella allo Stato per poter aiutare le banche in crisi di liquidità.
La crisi finanziaria è ormai a livello internazionale. Per scoprirne la causa è necessario fare un salto indietro di circa 8 anni, facendo attenzione a quello che succedeva al mercato immobiliare americano.
All'epoca i tassi erano bassi e, grazie alle formule per i derivati, i mutui venivano concessi anche a chi, in modo evidente, non sarebbe stato in grado di sanarli. Nasceva un secondo “sogno americano”, il valore degli immobili cresceva sempre di più e quindi chi comperava in quel momento, aveva la possibilità di un guadagno nel futuro. Tuttavia questa strategia finanziaria subisce una battuta di arresto nell'agosto del 2007, periodo in cui i prezzi delle case cominciano a scendere, e nel giro di poco tempo, molte persone si ritrovano con un mutuo che sulla carta è superiore alla valore dell'immobile.
Esplode la cosiddetta bolla immobiliare, sono ormai moltissimi coloro i quali non riescono più a far fronte al pagamento del mutuo, si manifestano le perdite, il flusso del denaro si blocca, e i titoli diventano spazzatura. La crisi dilaga ed iniziano ad affondare “società-colossi” semipubbliche dal blasone secolare come Fannie Mae e Freddie Mac che avrebbero dovuto salvare il mercato dei mutui, e che invece sono state salvate esse stesse dalla Banca centrale degli Stati Uniti per una cifra intorno ai 200 miliardi di dollari!. Le perdite sono enormi per il sistema finanziario internazionale, e di certo il fallimento di Lehman Brothers e di Aig (American International Group), gigante mondiale delle assicurazioni, ha aggravato la situazione; il Nobel dell'economia Joseph Stiglitz pronostica un costo complessivo di circa 1.500 miliardi di dollari in tre anni, 2007-2009.
Si è paragonata l’attuale crisi finanziaria a quella del ’29, anche se si riscontrano molte differenze. All'epoca Wall Street crollò registrando una perdita che arrivò ad un picco dell’ 83%, e la disoccupazione raggiunse il 25 % della popolazione, ciò significa che un lavoratore su quattro perdeva il proprio posto di lavoro.La recessione di fatto esiste, sarà ampia e prolungata, e coinvolgerà senz’altro i mercati di tutto il mondo.. Aspettando lo svolgersi di questo nuovo ciclo economico, non ci resterà che assistere a diverse “iniezioni di liquidità”, per sedare i mercati “malati” attualmente più a rischio.
domenica 23 novembre 2008
Si è spenta la voce della sinistra italiana.
E’ morto questa mattina a Roma Sandro Curzi, giornalista, politico e membro del Consiglio di amministrazione della Rai. La notizia è stata riferita da un portavoce dell'azienda pubblica radiotelevisiva.
"Con la scomparsa di Sandro Curzi l'Italia perde un maestro di giornalismo, una voce critica, lucida, coerente. La Rai perde uno dei suoi protagonisti, un professionista che ha contribuito a fare la storia dell'Azienda che se oggi è ancora un punto di riferimento per gli italiani lo deve anche a lui". Così ha commentato il direttore generale della Rai, Claudio Cappon.
Curzi, 78 anni, era da tempo malato, ma fino all'ultimo ha continuato a occuparsi di Rai, di informazione e di politica, scrivendo articoli e rilasciando interviste.
La sua scomparsa è stata accolta con parole di grande rispetto da tutte le parti politiche, nonostante il duro scontro di queste settimane proprio intorno alla gestione della Rai, come la vicenda del neo-presidente della Commissione di Vigilanza sul servizio pubblico radio-tv, Riccardo Villari, eletto dalla maggioranza contro il volere del suo stesso partito, il Pd.
“E' stato un uomo di schietta passione politica e di sempre viva e non comune cordialità umana - ha detto in un messaggio ai familiari di Curzi il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano - Le aspre polemiche che lo coinvolsero nel periodo della sua massima responsabilità giornalistica (ai vertici del Tg3) non lo indussero mai ad astiose chiusure né ad alcuna attenuazione della sua autonomia di giudizio e del suo senso delle istituzioni"
Il neo presidente della Vigilanza Rai ha detto invece di essere "addolorato per la scomparsa di Sandro Curzi, la cui esperienza, vivacità intellettuale e determinazione mancheranno moltissimo al giornalismo e alla vita pubblica italiana".
La camera ardente per Curzi sarà ospitata oggi e domani in Campidoglio, nella sala della Protomoteca, dalle 15 alle 18. I funerali si terranno invece lunedì mattina, in forma civile.
Nato nel 1930, durante la Seconda Guerra Mondiale, mentre frequentava il liceo nella Capitale, Curzi era entrato nei gruppi di resistenza antifascista vicini al Partito comunista, e aveva cominciato a scrivere sull'Unità", il giornale del Pci stampato clandestinamente.
Nel dopo guerra comincia la sua attività ufficiale di giornalista, in diverse testate della sinistra. Poi diviene dirigente della federazione giovanile comunista, la Fgci.
Nel 1959 diviene giornalista dell'Unità, di cui sarà anche caporedattore centrale e direttore responsabile. Nel 1967 passa a Paese Sera, come vicedirettore.
In Rai entra nel 1975, con regolare concorso. Nel 1978 è condirettore del Tg3, di cui diviene direttore nel 1987, per restarlo fino al 1993.
Dopo un passaggio alla Telemontecarlo di Cecchi Gori, torna alla Rai.
Dal 1998 al 2005 è direttore di Liberazione, il quotidiano del Prc. Poi diventa consigliere di amministrazione della Rai.
Spirito libero, inventore di una irripetibile stagione dell’informazione televisiva, con lui scompare un grande giornalista, una voce acuta e attenta, un uomo della sinistra.
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Sandro Curzi e il giornalismo di sinistra.
giovedì 20 novembre 2008
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